The Sound of Guga

THE SOUND OF GUGA

Guga non è un nome vero: è lo pseudonimo che ho dato a un orco. Però nella realtà esiste sul serio, anche se somiglia piuttosto a Quasimodo, il mostro di Notre-Dame de Paris, ma è più dritto, alto, grosso e balosso, con la faccia da Mangiapietre della Storia Infinita, il nasone butterato e gigantesche mani rugose da pescatore.
La cosa più strana è che, pur avendo la faccia rovinata come i sassi levigati dal mare, pare un bambino dal ghigno sdentato, forse per il fatto che è calvo: te lo immagini con addosso solo un enorme pannolone, anche perché solitamente tiene il cubitale labbro inferiore all’infuori, come i neonati imbrociati, perlomeno quando sta zitto e non bestemmia la Madonna o apostrofa con suoni gutturali i passanti, poi insulta a sangue gli autisti che sfrecciano col finestrino abbassato o sbagliano retromarcia all’incrocio. I suoni che grottescamente emette sembrano selvaggi gargarismi sconclusionati.
L’ho studiato accuratamente, anche se da poco abito in questo quartiere: rispetto al nostro caseggiato, che sarebbe a nord, lui non supera mai il limite dell’edicola dei giornali a sud, giù dalla discesa, né la trattoria ad ovest, oppure il tabaccaio lungo la strada del fabbricato a est.
Vive assieme a un bastardino marrone, che porta fuori al guinzaglio esclusivamente la sera, ma lo tratta bene, senza strattonamenti. Non so dove pisci il cane durante il giorno, probabilmente in casa. Il pomeriggio Guga lo trascorre fumando ed imprecando dalla bassa finestra del suo monolocale a piano terra: io sono costretto a passarci davanti quando devo andare a buttare la spazzatura nel cassonetto, con il terrore che Guga mi scalpi con uno sputo o mi abbronzi con un rutto immane.
E’ un subumano: credevo fosse straniero, tipo muratore analfabeta albanese musulmano blasfemo straccione in pensione, fino a che non sono andato a comprarmi le sigarette ad est, alcuni giorni fa.
Si fa per dire: era ancora settembre, con un sole che spaccava e mangiava le pietre pure lui. Guga era già dentro al negossio, stava biascicando in ligure al tabaccaio “che aveva appena nevicato sul Monte Beigua”. Impossibile! Il negoziante si è arrotolato più volte l’indice attorno alla tempia, sillabandomi mutamente “è pazzo”. Come il tenente Colombo, poi volevo dirglielo a mia moglie, ma mi sono dimenticato.
Ieri la Guissa torna a casa e sbatte subito entusiasta la borsetta sul mobile dell’atrio urlando:- Guga mi ha parlato, mi ha parlato!- Belin, le faccio io, manco fosse l’Oracolo di Delfi o Zarathustra. “Non capisci un casso, Massimo, lui mi ha chiesto proprio di NOSTRO figlio!”
Si vede che Guga, a furia di vedere Massimiliano uscire dal portone con le stampelle dopo essersi fratturato un piede nel pauroso incidente con la moto, si è avvicinato brutalmente stile King Kong alla mia consorte e le ha chiesto in perfetto italiano corrente:- Merda, come sta il ragazzo?-
E’ vero che io non capisco un cazzo: Guga è stato il primo e unico condòmino nel nostro imponente caseggiato a domandarci notizie del giovanotto, a parte la vicina di pianerottolo, che però non si fa mai i fatti suoi, quindi non è omologabile.
Da allora, quando vado in bicicletta strillo a tutti “Andate vaffanculo, stronzi bastardi borghesi!”.
Dimenticavo: io non possiedo una bicicletta: adesso me la presta Guga!

...ritratto grottesco dai tratti comici che fa riflettere su quanto possiamo sbagliarci proteggendoci dietro i nostri preguidizi e pensando di essere noi "quelli nel giusto"...è facile giudicare senza conoscere, e soprattutto, credere di conoscere quando in realtà non sappiamo nulla. con questo stupido atteggiamento non solo rischiamo di ferire senza motivo, ma anche di perdere preziose opportunità di arricchimento

ma io mi stavo perdendo un racconto così bello e profondo

complimenti a te, Massimo


(questo è per me!)



ti abbraccio


simi