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 L'UOMO IGUANA SA, PERCHE' L'UOMO IGUANA E'

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MessaggioTitolo: L'UOMO IGUANA SA, PERCHE' L'UOMO IGUANA E'   L'UOMO IGUANA SA, PERCHE' L'UOMO IGUANA E' Icon_minitimeVen Giu 05, 2009 1:25 am

A volte penso che siamo come le iguane, per esempio io assomiglio molto al Frisonoma Cornuto, nel suo habitat naturale (Kansas, Texas e Arizona) si sotterra nel terreno sciolto o si rifugia nei cespugli mangiando solo animali più piccoli di lei come formiche o piccole bisce. Dico di assomigliarle perchè sono anni che vivo così. Mi nascondo dalla gente, prediligo i luoghi bui e imbucati e tento l'approccio solo con persone o animali più impauriti di me.
Odio la confusione e i luoghi affollati, due costanti della società moderna, adoro le linguine al pesto e le donne con le tette grosse. Ho perso il conto degli anni che ho, di sicuro più di trenta, di sicuro meno di cinquanta, ci sono delle giornate in cui mi sento un neonato in questo mondo frenetico, altre in cui mi sento un vecchio saggio, un'eremita che la sa lunga, a cui non la si può fare. Ho passato molti anni a cambiare abitazione, un giorno qui, un giorno là... era un tormento, mi perdevo facilmente e passavo intere nottate a cercare casa. Sono quasi tre anni invece che sto qui, a Valle dei Re. Abito in questo appartamentino che puzza di piscio e cipolla, gli unici miei amici sono i piccioni, si avvicinano a me, mi trovano e mi vogliono bene, ci sono dei giorni in cui mi metto del pane in bocca e mi faccio colpire dolcemente dai becchi affamati dei miei amici volatili, sembra quasi un bacio interrazziale, io un bacio non l'ho mai dato, quando ero piccolo le bimbe mi evitavano, mi chiamavano spaventapasseri e mi facevano lo sgambetto, comprensibile. Quando ero piccolo tenevo un mucchio di ferraglia in bocca, attaccata ai denti, avevo l'apparecchio e mi puzzava l'alito nonostante mi lavassi i denti più volte al giorno: una volta alla mattina, una volta dopo pranzo e una dopo cena. Così mi ha insegnato mia mamma, così facevo ogni giorno, ubbidiente. Quando parlavo la saliva si spiaccicava sui fili dell'apparecchio dando vita a un fenomeno non troppo bello per la gente che mi stava davanti.
Mio padre e mia madre all'inizio non si preoccupavano troppo, dicevano che a quell'età è normale essere un po' insicuri, esclusi. Cominciarono a preoccuparsi quando alle medie, dopo la scuola non tornavo a casa, dicevo ai miei che andavo dai miei amichetti, un giorno da Luisa, un giorno da Giovanni, un giorno allo zoo safari con Albertino e suo padre, a mangiare panini con la caciotta e a guardare i leoni. Dicevo così e invece andavo al pontile, mi sedevo sul bordo della staccionata e tenevo i piedi nell'acqua, ogni tanto allungavo la mano dietro di me, afferravo una pietra e la lanciavo lontano, sperando di lanciare il mio apparecchio per i denti, la mia erre moscia, i miei piedi troppo grandi, i bambini che mi prendevano sempre in giro.
Non sto qui a piangermi addosso, la vita è così, c'è sempre bisogno di un emarginato, uno da prendere per il culo, uno a cui mettere la carta igienica nella cartella e i gessetti nel panino; non sono stato il primo e non sarò nemmeno l'ultimo. Un giorno me ne sono andato di casa, avrò avuto sui vent'anni anni, sono andato al pontile, ho riempito la borsa di sassi piatti, da lanciare facendo i rimbalzi sull'acqua, sono montato in sella alla mia bici e ho cominciato a pedalare fino alla stazione dei treni, ho preso un treno per Firenze, di soldi ne avevo, continue mance di Natale, paghette per i sabati sera passati in solitudine al parco comunale, mance per i compleanni e ancora per l'epifania, per comprare i cioccolatini a San Valentino per ragazze invisibili e via discorrendo. Sono arrivato di notte, la città mi inorridiva con le sue mille luci, mi attraeva con le sue mille oscurità. Sono scivolato schifato tra la gente, mi sono riparato sotto un ponte, vicino all'acqua di fiume, nera che inghiotte e libera, nera che sta, nera che è, mi sono sbranato i miei due panini col prosciutto cotto e la sottiletta, mi sono addormentato quasi subito. I miei genitori non mi hanno mai cercato.
Mi sono svegliato abbracciato al mio zaino pieno di sassi, mi sono lavato il viso nel fiume, mi sono alzato e ho cominciato la mia ricerca, cercavo un posto ombroso e umido, un posto isolato dove stare, un posto dove creare il mio impero di fantasia e rane pescatrici.
Tra i vari vagabondaggi ho cominciato a lavorare, volantinaggio, consegna delle pizze, commesso in edicola, dog-sitter per due settimane. Ho messo via abbastanza soldi per affittare un appartamentino squallido, non spendo molto a dir il vero, mangio una volta al giorno, pane per lo più, bevo dalle pozzanghere e mi lavo nel fiume, non ho mai rubato, non mi va, in fondo nella mia testa marcia ci sono ancora le regole dettate da mia mamma. Come dicevo sto a Valle dei Re, un nome imponente per la merda che è, dico così ma se mi sentiste parlare notereste una punta di tenerezza e affetto nella mia voce, voglio bene al posto dove sto, mi dà tutto.
Le mie abitudini sono variate solo un poco, adoro muovermi di notte, lavoro come dog-sitter dalle quattro del pomeriggio alle sei e dalle sette di sera alle nove. Di notte mi sento cupo e minaccioso, i lampioni fanno della mia ombra un alter-ego improbabile, mi muovo con discrezione, vado al ponte e mi spoglio, mi lancio nel fiume e il pisello mi si ritira per il gelo, nuoto a rana e mi diletto un poco nello stile libero. Se per caso qualcuno passa vicino alla riva del fiume mi immergo lentamente, ho imparato a tenere gli occhi aperti sott'acqua, all'inizio bruciavano ora invece non mi fanno nulla.
Quando comincio a non sentir più i piedi dal freddo, esco. Mi rivesto con calma e mi dirigo verso la mia tana, mi stendo a terra e conto le macchie sul soffitto.
Cinquantaquattro grandi e dieci più piccole.
Mi addormento esausto.
Mi sveglio in un bagno di sudore, ho la bocca secca e la saliva impastata, mi sento soffocare, esco di casa e respiro a pieni polmoni l'aria mattutina. E' fredda e mi squarcia in due i polmoni, inizia una nuova giornata per l'Uomo Iguana.
Mangio due fette biscottate e bevo un bicchiere d'acqua per ingoiare la mia secca colazione. Esco dalla tana coperto dalla testa ai piedi da sciarpe, coperte, cappellino di lana e guanti, mi metto anche gli occhiali da sole, li ho trovati in fondo a un vicolo, li hanno lasciati la perchè sono un po' graffiati, mi somigliano. Cammino per le piccole vie di Firenze, so a memoria i percorsi da fare per incrociare meno gente possibile, ci ho messo un po' ma ora so muovermi, non mi perdo più. Penso che il percorso delle vie meno affollate mi voglia dire qualcosa, sembra fatto apposta per me, un regalo della città che mi ha accolto! Cammino per le vie di Firenze quando incrocio una donna strana, ha gli occhi dilatati, sono enormi e sembra una rana, cammina curva curva e lancia occhiate piene di paura alla gente che passa. Mi sento al sicuro, ha un qualcosa che mi spinge a non aver timore, mi fermo, la fermo. Mi guarda piena di terrore, la convinco a seguirmi e lei, inaspettatamente, sta al gioco, non mi toglie gli occhi di dosso e arretra di tre passi ogni volta che mi giro a guardarla: ci vuole un sacco di tempo ma alla fine arriviamo a casa mia. La tana le piace, per la prima volta da quando sono nato mi sento complice di qualcuno, mi sento partecipe della vita, degli affanni di qualcuno, per una volta non mi sento isolato, kriptionano.
Mangiamo un po' di riso con le briciole di pane, è una mia ricetta. Si cucina il riso e, in una padella a parte si scaldano delle briciole di pane, si mischia il tutto è il pranzo è pronto. Alla Donna Rana piace il riso con le briciole, lo mangia tutto, fino all'ultimo chicco e schiocca le labbra soddisfatta. Finalmente cominciamo a parlare.
-Chi sei tu?- comincio io.
-Una- fa lei con un colpo di labbra.
-Come una! Avrai un nome!- insisto.
-Mi chiamo Giovanna Bovoloni- sibila fissandomi intensamente.
-Continua, mica ti mangio!-
-Ho 30 anni, vivo alla Casa dei Fiori, ma sto a casa solo la notte, di giorno vado in giro-
-Ma vivi con i tuoi?-
-No col fidanzato-
-Capito. E' bello?-
-Molto-
-Che fortuna che hai, io qui sto solo... beh un po' di amici li ho, vieni te li faccio conoscere!- La voglio portare sul tetto dove stanno i piccioni.
-No, vado-
-Dove?-
-Casa-
-Ma hai detto che ci stai solo la notte-
-Oggi no, devo stare a casa anche di giorno-
-Ok- dico con l'aria da menefreghista, da duro, tipo gangster.
Se ne va subito, si gira solo un istante a guardarmi con i suoi occhi a palla, mi sorride a modo suo, la Donna Rana. Sono quasi le quattro, devo muovermi! Corro fino alla casa di Daniela, una donna sui quaranta molto impegnata, così si è definita quando gli ho chiesto se voleva baciarmi, una donna molto impegnata ma simpatica, gentile. Porto a spasso il suo cane, un grosso cane nero con la bava alla bocca e il culo pesante, muove con tranquillità le zampe anteriori mentre quelle davanti sembrano sorreggere un carico più pesante, le trascina lentamente e sculetta involontariamente. Lo porto sempre al parco, appena Daniela rientra a casa mi vesto come voglio io, mi copro del tutto in modo da non farmi riconoscere da nessuno, so che nessuno mi conosce ma senza un minimo di routine si diventa matti!
Al parco Billo (il cane nero) si diverte molto, insegue il bastone che gli tiro e me lo riporta indietro tutto felice, io con gli animali ci so fare, mi trovo molto meglio con loro che con gli uomini. Le persone hanno mille pregiudizi e inventano mille scuse senza dirti mai la verità, gli animali no, se gli stai antipatico se ne stanno lontani, se gli piaci si avvicinano e ti vogliono bene. Dev'essere questo l'amore di cui parla sempre Romina.
Romina è la protagonista di “Amore Tra Le Mani”, una soap opera che fanno su rete 4 alla mattina presto. Romina è innamorata di Julio ma non ha il coraggio di confidarsi perché ha paura di essere respinta, finalmente quando lui si accorge di lei e stanno per mettersi insieme l'uomo viene investito da un camion, ora sta in un letto d'ospedale e dorme tutto il giorno e tutta la notte, non si sveglia mai... penso che lo faccia perché ha paura di non piacere più a Romina.
Sono assorto nei miei pensieri quando Fonzie mi passa accanto, lo guardo fisso negli occhi e lui mi si siede accanto, sulla panchina. Ho visto male, non è Fonzie però ci assomiglia molto, capelli impomatati in un ciuffo appiccicoso e giubbotto di pelle, anche la camminata sicura mi riconduce a lui.
-Ciao, come ti chiami?- inizio io, come con la donna rana mi sento a mio agio e non minacciato.
-Cesare, tu?- risponde il ciuffone.
-Non ho un nome, sono l'Uomo Iguana-
-Beato te, io il nome Cesare lo detesto, mi piacerebbe molto cambiarlo, sarebbe molto meglio se il nome se lo scegliesse il bambino a un'età ragionevole- dice lui tutto d'un fiato.
-Come vorresti chiamarti?-
-Mah, non so... Alessandro non mi dispiacerebbe- fa Cesare pensieroso.
-E se dovessi darti un nome d'animale?- incalzo io.
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